Bologna, 6 novembre 2024 – Stiamo tutti correndo verso Verona per tuffarci nella nostra passione: ma prima di entrare in una sacosanta trance equestre prendiamoci un momento per pensare a qualcosa di importante.
La sicurezza e il benessere, due cose che vanno di pari passo: vi riportiamo qui l’intervista che abbiamo fatto a Milena Zanotti ed è comparsa sul numero di agosto 2024 di Cavallo Magazine.
Se vi chiedessero di fare l’elenco degli elementi che costituiscono il vostro benessere, quindi in pratica la vostra felicità quali sono i primi che vi vengono in mente?
Proviamo a indovinarli: un prato, un cavallo e tutto il tempo per stargli vicino.
Anche per Milena Zanotti la felicità era fatta solo di queste cose, almeno sino a 5 anni fa: quando il cavallo che stava accompagnando al prato le ha dato un calcio alla testa, e l’ha portata sull’orlo della fine.
Milena, Memi per gli amici, quel giorno aveva soltanto 12 anni e da allora per lei sono cambiate alcune cose: la più importante è che ha capito che la sicurezza è una parte fondamentale del benessere, perché può evitare potenziali tragedie come la sua.
Quando è successo il suo incidente, Milena?
«Il 30 novembre del 2018, a Mantova: ero piccola, avevo 12 anni. Subito dopo l’impatto sono entrata in coma e mi hanno portata in ospedale a Bergamo con l’elicottero: e non sapevano se sarei arrivata a sera».
Le conseguenze?
«Un lungo periodo di coma, due interventi complessi per ricostruire il cranio, sette mesi di ospedale. I medici non erano per niente ottimisti, non era sicuro che mi sarei risvegliata: e tutto perché il calcio del cavallo mi ha preso in testa, e io non avevo il cap. Ho avuto molti danni neurologici: ma adesso ho imparato a compensare, e contrariamente alle previsioni l’occhio che sembrava perduto si è salvato, anche se non vede».
Come è stata la sua ripresa?
«Mi sono svegliata dal coma molto, molto lentamente: ma la prima cosa che ho detto a mia madre è stata che il giorno delle dimissioni sarei andata a cavallo, perché io lo amavo ancora quel cavallo, nonostante tutto».
E lei cosa ha risposto?
«Un semplice ‘Vedremo’: anche perché in quel momento non si poteva certo prevedere quando sarei uscita dall’ospedale. Mia mamma mi aveva raccontato un po’ cosa era successo».
Dopo una esperienza del genere si può tranquillamente dire che la sua per i cavalli è passione vera.
«É quello che mi fa sentir viva, che ancora adesso mi fa scorrere il sangue nelle vene: nonostante sappia perfettamente che l’equitazione comporti dei pericoli».
Da piccola ne era così consapevole?
«Non così tanto: ora anche solo per portare il cavallo a mano, come stavo facendo quando è successo, mi metto il cap. Anche se la gente mi guarda strano, non mi interessa: mi dico ‘Milena, attenta’, e mi proteggo. Perché è stato tanto difficile arrivare sino a qua: ho passato mesi in un centro riabilitativo, perché a causa dei danni neurologici ho dovuto ricominciare tutto da zero, come se fossi una bambina piccola. Parlare, mangiare…tutto, ho dovuto imparare da capo tutto. Ma non mi sono mai sentita persa: magari all’inizio, quando mi sono svegliata era particolarmente difficile perché avevo tutti e due gli occhi chiusi. Poi si è aperto quello non coinvolto nel trauma e la cosa più forte è stata quando mi sono vista allo specchio realmente: mi ha messo in fila le cose. Perché io sono una con una testa determinata, che proprio non si ferma, un treno: quindi ho pensato se ricomincio parlare, mangiare, camminare, allora esco dall’ospedale e poi vado a cavallo. Per dire, facevo otto ore di riabilitazione al giorno ed ero ancora su una carrozzina o in un letto: mia madre mi chiedeva se non fossi stanca e io le dicevo di no, anche se in realtà ero distrutta perché comunque ci metti un po’ a riprendere energia. Ma la mia testa mi ha salvato: ho visto un sacco di ragazzini che stavano meglio di me ma si buttavano giù di morale. Avevo una emiparesi totale al lato sinistro quindi ho fatto un sacco di riabilitazione per camminare e muovermi: metà del corpo non me lo sentivo all’inizio, era come se fosse di qualcun altro. Dopo tanto tempo ho aperto anche l’altro occhio: poco e non ci vede, ma è aperto almeno. Poi finalmente la seconda operazione di ricostruzione in ospedale a cui è seguito un altro periodo al centro riabilitativo, e poi finalmente sono uscita: ovviamente prima di andare a cavallo ho dovuto aspettare un anno dalla seconda operazione perché le ossa si saldassero».
Quando è tornata in maneggio?
«Fine agosto del 2020, più o meno. Ovviamente era tutto diverso perché comunque vedendo con un occhio solo é come se dovessi re-imparare a muoverti, rimapparti: io non riuscivo ad attraversare una strada, perché una cosa che voi vedete in un modo io la vedevo in un altro e ho dovuto imparare un nuovo modo di capire quanto le cose sono lontane o vicine. Ma piano piano impari e compensi, anche se ci sono ancora cose che un po’ mi danno da fare: tipo versare l’acqua nel bicchiere trasparente, devo toccare o il bicchiere o la bottiglia. É stato un percorso faticoso: ma adesso mi sento bene. Anche riprendere ad andare a cavallo, dopo che sei stato tanto tempo in un letto, non è facile: non hai più muscoli, all’inizio perdevo sempre la staffa, tante cose erano più difficili di prima. Piano piano ce l’ho fatta: ma tengo veramente tanto a trasmettere questo messaggio sulla attenzione alla sicurezza. Perché io sono qua a raccontarlo ma tanta gente non è stata così fortunata, o non ce l’hanno fatta o sono ancora in ospedale. Quindi il minimo che mi sembra di poter fare è che la mia disgrazia sia di aiuto per gli altri. Mi rendo conto che quando la mamma ti dice ‘stai attenta’ l’ascolti fino a un certo punto: ma magari detto da una che l’ha vissuta, che non dico ha la loro età ma quasi serve di più».
Come sta adesso?
«Nella mia vita adesso alcune limitazioni ci sono ancora, a un certo punto devi farci i conti ovviamente. Ma sono una testona, da sempre: non mi arrendo al primo no, magari aspetto un po’ e poi ci riprovo. Era come tagliarmi le gambe non farmi montare a cavallo, perché è l’unica cosa per cui mi sento viva. C’è stato anche stato il momento in cui ti guardi allo specchio e dici questa faccia non me l’ha fatta mia mamma, me l’hanno fatta due chirurghi maxillofacciali. E’ stato difficile entrare nell’adolescenza senza un occhio, a 12/13 anni l’estetica è già qualcosa di sofferto, figurati con una cosa del genere. E quindi anche io ho dovuto fare i conti con me, e con i miei limiti: non è stato facile, diciamo che nella sfortuna mi è andata bene. É stata una combo a funzionare: i dottori, il posto giusto, il momento giusto, la mia testa così determinata sempre».
Come si fa ad affrontare una cosa stravolgente come quella che ha vissuto?
«Quando in un attimo si passa dall’essere normali, senza problemi, ad avere un problema così grosso improvvisamente, senza un perché, senza una ragione non è facile: ci si scoraggia. Ma la cosa più importante è credere in se stessi: tante volte le persone che hai attorno fanno di tutto per metterti dei paletti, non farti progredire e volare in alto ma lasciarti giù. Allora tu devi veramente toglierti tutte le cose negative dalla testa e guardare il tuo obiettivo, a testa alta. Se ci credi tu per primo tutto può migliorare e diventare più facile: e allora diventa come una discesa. Perché il problema in realtà tante volte non esiste, lo vedi solo tu e di conseguenza lo fai vedere alle altre persone.
C’è stato un periodo che ero giù: mi sembrava di essere solo quell’occhio mezzo chiuso e la cicatrice in testa. Ma adesso io sto bene con me stessa e sono Milena: che ha un occhio chiuso, una cicatrice ma anche un bel sorriso, tanta simpatia, tanta voglia di fare. Mi rendo conto che anche la mia postura è cambiata e sei stai dritta, alzi la testa e sorridi tutto cambia: e la gente non la vede nemmeno più, la cicatrice».
Monta con Arnaldo Bologni adesso, vero?
«Sì, e anche questa è una bella storia: quando ho ricominciato era un periodo in cui ero giù, era difficile con la scuola, il mal di testa, mi guardavo allo specchio col cavallo e non progredivo, avevo preso un cavallo a mezza fida per fare le gare primi passi, 30/40 cm. Nel frattempo facevo vedere a mia madre le stories del Filippo Bologni Experience ogni volta che lui le metteva, e dicevo ‘guarda mamma è questo il regalo per me’, ogni volta! Allora un giorno mi dice ‘sali in macchina, che c’è una sorpresa’: e ci siamo trovati davanti al cancello di Arnaldo. Così ho montato ma non avevo il cavallo mio, Filippo me ne ha dato uno che montava lui. Nel frattempo mia mamma aveva anche chiesto di parlare con Jessica (Notaro, moglie di Filippo Bologni – n.d.a.), perché anche se le nostre storie sono diverse abbiamo la stessa difficoltà con l’occhio e quindi lei può capire i miei problemi. E anche se a lei è successo più da grande ci siamo capite subito, abbiamo parlato anche con Filippo e mi hanno chiesto se volevo montare con loro, preparando un piano di obiettivi step by step: il primo ovviamente era quello di avere un cavallo mio. Così Intimo Van Het Lindehof , proprio il cavallo che mi aveva prestato Filippo perché pensava potesse essere adatto a me è diventato il mio cavallo. Mi ero innamorata di lui dal primo istante: il primo giorno lo avevo montato due volte in piano, il giorno dopo su qualche salto che non avevo mai fatto, ben più alto del solito: ma Intimo è bravissimo, ci mette tutto il cuore e poi ha tanti mezzi. Ero io che con la paresi avevo difficoltà a stringere con la parte sinistra, quindi ogni volta che saltavo andavo in avanti, perdevo la staffa e cadevo giù. Ogni salto: e lui si fermava e mi guardava, e allora ho capito che io davvero lo amo questo cavallo e gliel’ho detto. E ogni volta che mi rialzavo dicevo a mia madre che io volevo proprio lui, quel cavallo lì. Perché lui davvero sembra che capisca. E se anche tutti mi dicevano ‘ma cosa vuoi saltare che hai solo un occhio, non vedi le distanze’ io so che in due di occhi ne abbiamo tre, ed è più che sufficiente. Dove non arrivo io arriva lui, dove non arriva lui ci arrivo io: è qualcosa di difficile da descrivere, ma bellissimo. Dopo sono andata ad Arnaldo che mi ha detto: ‘Il cavallo salta, tu non preoccuparti di questo’. Per un sacco di tempo non mi ha fatto vedere nemmeno una barriera a terra: mi ha tenuta in circolo con le staffe legate, e ogni 30 secondi mi diceva ‘Spalle indietro, guardati il braccio sinistro, la gamba sinistra!…’ tutto così, finché non mi ha sistemato l’assetto. Intimo ha mezzi per volare più in alto del cielo, in due anni sono passata dal non riuscire a stare in sella a prendere il brevetto, il primo grado e fare le 120: Arnaldo dice che ha bisogno di qualcuno come me in scuderia come esempio per tutti perché non demordo mai, magari faccio voli incredibili ma rimonto in sella e ho voglia ugualmente di fare la gara».
Sto pensando a sua mamma, che dopo tutto quello che ha passato è lì che assiste a cadute e sempre nuovi ritorni in sella…
«Ho tre sorelle, nostra madre dice sempre che nessuna delle altre ha mai avuto problemi mentre io la faccio preoccupare per tutte e quattro: diciamo che sono sempre stata quella con tante sfide nella vita, se vuoi. Sono la terza, le prime due sono un po’ più grandi quindi quasi dei genitori per noi due più piccole: e quando ci ritroviamo tutte e cinque insieme diventa davvero impegnativo, cinque teste cinque modi diversi di vedere le cose…ma a proposito di teste: non dimentichiamoci il cap. Non dimentichiamolo mai, nemmeno da terra: se io avessi indossato il cap, come prescrivono le norme di sicurezza, anche per condurre il cavallo a mano le cose sarebbero andate molto diversamente per me. A me hanno dovuto ricostruire la fronte, lo zigomo, è stato davvero difficile recuperare dopo i danni che ho subito: mettete sempre il cap, perché vi salva la vita».
Il prossimo obiettivo che vuole raggiungere quale è?
«Prima di tutto continuare a progredire e migliorare a cavallo, e poi lavorare nel mondo dell’equitazione: la scuola non mi piace molto ma non sarà il mio limite. Diventare una amazzone professionista sarebbe un sogno ma vedremo, mi piacerebbe anche fare la groom. L’importante per me è stare vicina ai cavalli: perché mi fanno stare bene».